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Scuola Rajkumari Ratnavati / Diana Kellogg Architects per IQD

Architetto: Diana Kellogg Architects
Luogo: Jaisalmer, Rajasthan, India
Fotografo: Vinay Panjwani
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Il valore terapeutico dell’architettura

La scuola Rajkumari Ratnavati che ho progettato a Jaisalmer, Rajasthan, India ha rappresentato per me un’opportunità unica di creare un senso di orgoglio, appartenenza ed equità nella comunità locale di ragazze e donne. La scuola ospita più di 400 ragazze al di sotto della soglia di povertà in questa città, dove l’alfabetizzazione femminile sfiora appena il 36%. Insieme a un team di donne architetto, abbiamo creato un luogo sicuro per queste ragazze, un luogo di libertà, di gioia e di scoperta. Il progetto mi è stato commissionato dalla Fondazione Citta, che s’impegna a far fronte ai problemi delle donne in tutto il mondo. Ho visto come i precedenti progetti della Fondazione avessero agito da catalizzatore per uno sviluppo che si estendeva ben oltre l’ubicazione del progetto stesso.

Quando ho cercato di definire la mia visione per questo progetto, ho guardato prima al paesaggio. L’immensità del deserto risuona a un livello intuitivo primordiale, c’è un’innata qualità spirituale nel deserto che non avevo mai sperimentato. Il mio obiettivo è stato da subito quello di non disturbare le dune, opere d’arte naturali, ma di ispirarmi alle forze della natura che erano radicate dagli inizi della vita in quel paesaggio modellato dai venti e dalle culture nomadi che lo avevano attraversato. Il deserto è intrinsecamente misterioso ed eterno. Volevo ricreare questa espressione metafisica e abbracciare l’esistenza primordiale. Inoltre, come architetto donna che stava progettando per le donne, ho esaminato i simboli femminili, in particolare quelli di forza, attraverso le varie culture. Alla fine ho optato per la forma ovale che, oltre a rappresentare la femminilità, intende replicare la poesia delle dune di sabbia di Jaisalmer.

Richiama anche come i bambini giocano in circolo o le donne lavorano in una comunità. Un progetto efficace è un processo che richiede una profonda comprensione del luogo e delle sue persone. Sono rimasta colpita dalla bellezza dell’architettura di Jaisalmer: geometrie sacre che si accordano con la nostra memoria più profonda – spazi che si riferiscono alla natura, al corpo, al percorso e alla storia. Volevo realizzare un edificio che parlasse di spazio, luce e comunità e non di progetto, una struttura che risuonasse con l’anima e rafforzasse le energie naturali per nutrire e guarire le donne e le ragazze a cui era destinato.

In tema di sostenibilità ho utilizzato la pietra locale per creare una struttura che sembrasse nascere ed emergere dal paesaggio naturale, fondendosi con il territorio. Come architetto, lavorare con la pietra scolpita a mano è stata un’incredibile opportunità. Ho lavorato solo con artigiani locali – spesso i padri delle ragazze – usando l’arenaria gialla locale scolpita a mano. Ho sentito fortemente il bisogno di costruire secondo le tradizioni locali. Quando chiedevo informazioni su diverse idee progettuali, sorridevano e dicevano con orgoglio, possiamo fare qualsiasi cosa con la pietra. L’edificio è progettato in modo sostenibile con piastrelle di ceramica riciclata per il tetto, intonaco a calce per gli interni delle aule e materiali locali al 95%.

Il team di progettazione ha seguito le antiche tecniche locali di raccolta e utilizzo dell’acqua piovana e di riciclo delle acque grigie. Nell’edificio, orientato in modo tale da sfruttare al massimo i venti e la luce solare, sono stati integrati anche pannelli solari per l’illuminazione e ventilatori. Sia la copertura sia i tradizionali Jali indiani allontanano il calore e la rigorosa forma ellittica della struttura contribuisce al tema della sostenibilità, creando una sorta di pannello di raffreddamento dell’aria. Una volta completata la scuola, le ragazze sono entrate, si sono prese per mano e hanno ballato in cerchio. La scuola sembrava risuonare con loro e tutto questo ha un senso, poiché le comunità indiane allargano continuamente i loro circoli famigliari; qualcosa che ho osservato qui e che non ho visto in altri paesi. C’è un detto che ho sentito più e più volte in India, per favore considera te stesso parte della famiglia.

Per i miei progetti futuri, è imperativo che ci sia un elemento d’impatto sociale e consapevolezza culturale. Mi piacerebbe vedere edifici rispettosi delle diverse culture, promuovere l’artigianato e le qualità inerenti al territorio in cui si trovano. Progetti che sostengono i commerci locali e la sostenibilità in modo reale e significativo. Spazi terapeutici che enfatizzano l’inclusività e il nutrimento dell’anima piuttosto che concentrarsi sulla teatralità del design. Edifici moderni che trascendono il progetto, realizzati anche con materiali semplici, locali. Spazi che infondono gioia e promuovono la giocosità per contrastare la realtà del trauma umano. Un’architettura che contribuisce concretamente allo sviluppo umano a livello globale.

Articolo pubblicato su IQD 70

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