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L’intelligenza condivisa a sostegno dell’umanità, della memoria e dell’ecologia / Mariam Kamara per IQD

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Dopo una prima fase di paura e sopraffazione, la forzata immobilità causata dalla pandemia ha lasciato il posto, per molti di noi, a una tranquilla fase di contemplazione. Io ho avuto il tempo di riflettere sui processi costruttivi e sui vari modi in cui noi architetti pratichiamo la nostra professione. Un punto su cui continuo a tornare è che il successo di ogni progetto intrapreso si è basato su una molteplicità d’intelligenze di persone, storie e geografie che sono arrivate a formare quella base di conoscenza a cui ci affidiamo e su cui costruiamo.

UMANITA

La pandemia ha reso evidente che siamo interconnessi in molti più modi di quanti immaginiamo. In qualità di architetti abbiamo la fortuna di poter mettere in connessione le persone tra di loro e con sé stesse e le loro storie attraverso gli edifici che progettiamo. Nel corso degli anni, prendersi il tempo per scoprire le storie di un luogo, i suoi angoli più intimi e i suoi silenzi ricchi di significato, è diventato un aspetto cruciale del nostro lavoro. È una forma d’intelligenza che si affina progetto dopo progetto, man mano che scopriamo cosa plasma le abitudini quotidiane di una comunità, le sfide che affronta, le paure e le speranze che la bloccano o la spronano. Le sue aspirazioni. Questo ci ha condotto naturalmente a produrre un’architettura che si occupa di progettare e plasmare il modo in cui le persone vedono se stesse e si relazionano con un mondo esterno che storicamente le ha emarginate e banalizzato le loro storie.

Le nostre ricerche in tal senso ci hanno portato a realizzare progetti come il complesso residenziale Niamey 2000, che ha affrontato la crisi abitativa di Niamey, capitale del Niger, con case adeguate al contesto culturale e rispondenti alle norme sociali della città. Abbiamo disegnato una disposizione organica di case interconnesse, alte da due a tre piani, che riescono a garantire un senso di privacy e d’intimità e, al contempo, di comunità. Le condizioni economiche degli abitanti ci hanno ulteriormente spinto a rendere le case accessibili con l’impiego di materiali locali, che riducono anche il consumo energetico legato al raffreddamento (un onere importante per la maggior parte delle famiglie del posto). Da allora, per tutti i nostri progetti abbiamo usato lo stesso tipo di approccio, basato sulla raccolta di racconti delle persone, per affrontare le sfide economiche, sociali e persino politiche attraverso la creazione degli spazi.

Niamey 2000 Housing. Atelier Masomi with united4design. Ph © Torsten Seide
Niamey 2000 Housing. Atelier Masomi with united4design. Ph © Torsten Seide
Niamey 2000 Housing. Atelier Masomi with united4design. Ph © Torsten Seide

MEMORIA

Ho riflettuto anche sull’incredibile fortuna di aver svolto i miei primi lavori nell’Africa occidentale, in particolare nel Sahel, regione ricca di storia e di architettura. Mi è stato subito chiaro che affidarmi ai modelli occidentali come fonte d’ispirazione sarebbe stato nel migliore dei casi illogico, nel peggiore addirittura complice della cancellazione sistematica di secoli di memoria locale. Ho imparato che la maggior parte delle risposte non si può trovare nei libri di storia, che sono a loro volta colpevoli della cancellazione globale delle intelligenze che si trovano al di fuori di quelli che vengono considerati i canoni architettonici.

Nel Complesso Religioso e Secolare Hikma abbiamo attinto all’incredibile ricchezza di conoscenze degli operai edili locali, che sono in grado di progettare, ma anche di ingegnerizzare e realizzare sorprendenti strutture. Le abilità tradizionali dei muratori e degli artigiani ci hanno aiutato a creare un complesso per la comunità che ha recuperato una tipologia locale, ampliando e trasferendo le sue forme e le sue tecniche nel 21° secolo.

Hikma Religious-Secular Complex. Atelier Masomi. Ph © James Wang
Hikma Religious-Secular Complex. Atelier Masomi. Ph © James Wang
Hikma Religious-Secular Complex. Atelier Masomi. Ph © James Wang

ECOLOGIA

Non è possibile riflettere sull’opportunità che la pandemia ci ha offerto senza riflettere su quanto pesantemente quest’ultima abbia evidenziato le nostre necessità ecologiche. L’architettura non è sempre stata amica del pianeta. Questa è una sfida che richiede un insieme d’intelligenze, poiché c’è molto da imparare da ecologie simili quando si progetta uno spazio. Mentre progettavo per il clima desertico del Niger, sono stata naturalmente attratta e ho imparato molto dai tradizionali meccanismi di ventilazione dal Marocco all’Iran fino al deserto americano del New Mexico. Allo stesso modo c’è molto da imparare dai metodi con cui l’acqua è stata raccolta, utilizzata e conservata nei pozzi a gradini del Rajasthan in India così da come i nomadi Tuareg del Sahara nigerino conservino la preziosa acqua per settimane fino a raggiungere l’oasi successiva.

Questi approfondimenti mi ricordano che le risposte non si trovano sempre nel catalogo di un fornitore e che non dobbiamo sempre ricorrere a soluzioni meccaniche o high-tech che esasperano drammaticamente le disuguaglianze. In definitiva, l’architettura è un’impresa troppo costosa, in particolare nelle comunità vulnerabili, per non far convergere una molteplicità d’intelligenze per realizzare progetti che affrontino contemporaneamente una serie di problematiche. E come ci ha dimostrato la crisi climatica, queste sono considerazioni che presto non potremo far a meno di affrontare. Le intelligenze preziose non sono solo in ciò che vediamo, ascoltiamo e leggiamo, ma in ciò che tocchiamo e annusiamo, nella storia dei materiali e degli elementi fisici che plasmano le topografie reali ed emotive in cui vive una comunità.

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