Elephants World / Bangkok Project Studio
Riconoscere il diritto all’esistenza – alla miglior esistenza possibile – delle altre specie animali costituisce il fondamento della coesistenza delle specie e della conservazione della biodiversità. Quella dell’Elephant World Project, che nasce con l’obiettivo di insegnare l’amore tra le specie, è una delle belle storie dell’uomo, dell’architettura e del pianeta, che merita di essere letta, compresa e vista come fonte d’ispirazione.
Il progetto, che include su di un lotto di 5.400 mq un Parco per gli elefanti, una Torre di osservazione, un Museo degli Elefanti e altre strutture destinate alla vendita e alla ristorazione dei visitatori, prende le mosse, finanziato dal governo thailandese, con l’obiettivo di salvaguardare gli elefanti e mostrare l’incredibile rapporto, unico nel suo genere, che esiste da tempi immemorabili tra di loro e gli abitanti della zona, che li considerano come parte della loro struttura familiare.
A causa degli stretti legami emotivi con gli uomini, gli elefanti thailandesi sono considerati tra i più docili al mondo. Per questo motivo il progetto dell’Elephant World, avviato nel 2018 e completato nel 2020, non è stato concepito come un insieme di gabbie per animali selvatici, ma come una grande residenza per dei membri della famiglia umana. Il paesaggio costruito – ha spiegato il capoprogetto Boonserm Premthada – è stato progettato in modo tale da toccare il suolo con tale leggerezza da ridurre al minimo l’impatto sulla Madre Terra.
Un approccio che, unito al contenuto, ci ricorda quanto l’essere umano appartenga, in termini di biomassa, a una specie insignificante: i 7,8 miliardi di Homo sapiens che popolano il pianeta rappresentano difatti appena circa lo 0,01 per cento di tutti gli esseri viventi. Eppure il nostro impatto sulle altre forme di vita è stato e continua a essere devastante: abbiamo lentamente, nel corso della storia, impoverito il pianeta, causando, dalla nostra comparsa, l’estinzione di oltre l’80 per cento delle specie di mammiferi selvatici e della metà delle piante. È tempo di ascoltare il suono delle vite delle altre specie che ci parlano – ha aggiunto l’architetto Premthada – perché è solo riducendo il pensiero antropocentrico che possiamo diventare più umani.
Da oltre 360 anni il villaggio di Ban Ta Klang, nel nordest della Thailandia, meglio conosciuto come il Villaggio degli Elefanti, ospita una comunità di Mahout, i custodi degli elefanti. Attualmente, con i suoi 207 elefanti, è il villaggio con la più alta presenza di elefanti addomesticati al mondo. Qui la popolazione locale, di etnia Kui, e gli elefanti dipendono e apprendono gli uni dagli altri per tutto il corso della loro vita. La comprensione di questa straordinaria convivenza è stata per i progettisti dello studio Bangkok Project Studio il punto di partenza per contribuire a preservare l’unicità di questo posto, che stava gradualmente scomparendo, schiacciato dalle logiche del consumismo.
La crescente richiesta di coltivazioni redditizie a fini commerciali ha difatti sottratto terreni alle riserve nazionali e alle foreste alluvionali di Wang Talu, un tempo ricchi di vegetazioni che fornivano cibo e medicine agli elefanti. Con la riduzione di queste risorse naturali, molti Mahout sono stati costretti a lavorare con i loro elefanti in queste nuove coltivazioni o a trasferirsi in città come attrazione per i turisti, con grandi ripercussioni sulla salute e sul benessere di entrambi. Il perdurare di questa situazione non potrà che portare alla diminuzione del numero di elefanti e, in ultima battuta, alla loro estinzione.
Finalmente nel 2015, per scongiurare questo pericolo, il governo thailandese ha deciso di dare il via al progetto dell’Elephant World, che si pone l’obiettivo di salvaguardare la comunità di elefanti e la popolazione Kui all’interno di un vero e proprio centro di apprendimento culturale e della tutela della natura. Il progetto contribuirà inoltre a creare opportunità lavorative, nel rispetto dell’ambiente, che renderanno la popolazione economicamente autosufficiente, non costringendola più a cercare lavoro altrove. Gli elefanti ora costretti a lavorare nelle coltivazioni commerciali o in città potranno finalmente tornare nel loro habitat. Il progetto, che rappresenta una nuova dimensione di dialogo continuo tra architettura, paesaggio, ambiente e scienza, spiegato attraverso l’arte, include un Parco per gli elefanti, una Torre di osservazione, un Museo degli Elefanti e altri servizi. Tutte le strutture sono state costruite su terreni abbandonati in seguito ai disboscamenti degli ultimi decenni, per cui per la loro costruzione non è stato abbattuto nessun albero.
Il progetto del Parco si sviluppa attorno a un grande tetto spiovente in legno di 70 x 100 m, spesso 1,5 m, destinato ad accogliere ogni sorta di evento, dagli incontri culturali alle cerimonie religiose, che caratterizza il corso della vita di uomini ed elefanti. Poco distante, verso il limite della foresta, una Torre di osservazione alta 28 m invita i visitatori ad ammirare il paesaggio e a riflettere sulla convivenza tra le specie: qui ci sono le case degli uomini e degli elefanti, i cimiteri degli uomini e degli elefanti, avvolti dalla stessa foresta e attraversati da sentieri che ogni giorno uomini ed elefanti percorrono insieme.
A pianta ovale, la torre ha un angolo acuto che contribuisce a ridurre la forza del vento e a dissipare il calore del sole. Costruita con mattoni in argilla realizzati con risorse locali, la Torre invita i visitatori a disperdere nell’aria, dalla piattaforma all’ultimo piano, i semi a forma di elica dell’albero locale di Apitong, da cui nasceranno nuove piante, contribuendo in questo modo attivamente alla riforestazione dell’area, finché – come hanno scritto i progettisti – la foresta si riprenderà la sua terra, questo edificio artificiale soccomberà alla natura e l’architettura avrà così esaurito il suo compito. Un nuovo modo di guardare all’architettura, come mezzo e non come fine, che dovrebbe essere preso a modello in altri progetti.
Il Museo degli Elefanti, infine, completato a settembre di quest’anno, è formato da un insieme di pareti curve in mattoni di argilla cotta di varie altezze che s’inclinano e s’incrociano guidando il visitatore lungo il percorso espositivo, segnato da corti di diverse forme e dimensioni – alcune occupate da vasche d’acqua altre coperte dalla terra rossa locale – e quattro sezioni. Tre di queste sezioni sono dedicate alle esposizioni museali, mentre una quarta area accoglie la hall d’ingresso, la sala espositiva principale, un’aula di ricerca, una sala congressi, una caffetteria e un museum shop.
All’interno, dove vengono illustrate le storie della convivenza tra gli elefanti e la popolazione Kui e dell’area, incoraggiando l’orgoglio locale per un così ricco patrimonio etnico, una morbida luce zenitale crea un’atmosfera serafica che rispecchia la natura gentile e pacifica di questi elefanti. L’obiettivo di tutti questi edifici, simbolo delle storie e delle vite degli uomini e degli elefanti, è quello di invitare a riflettere sulla vita in equilibrio con la natura e sul potere della resilienza di fronte ai grandi cambiamenti dell’ultimo secolo.