VALERIO PAOLO MOSCO
Nuda Architettura IQD 66
BIOGRAFIA
Laureato a Roma in Architettura nel 1992 con il massimo dei voti; nella stessa Università ha conseguito il dottorato di ricerca in progettazione architettonica (2005-2008). Ha insegnato come assistente presso l’Università di Roma e di Pescara ed è stato contrattista presso l’Università Iuav di Venezia nel dipartimento di progettazione architettonica dal 2002 al 2005. Ha insegnato presso l’Illinois Institute of Technology (IIT) a Chicago (2006); presso la facoltà di Ingegneria di Brescia (2007-2008); presso l’Università di Architettura di Ferrara (2008-2010), al Politecnico di Milano (storia dell’architettura, corso in inglese, 2010-2013) e presso lo IED di Roma (storia dell’architettura, 2010 – 2017). Oggi insegna Storia e Teoria dell’Architettura allo IUAV di Venezia. Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali, risultando vincitore del concorso Europan 4 a Osjek in Croazia (1997, con Andrea Stipa), del concorso per la nuova sede Wind di Roma (2000, con Aldo Aymonino e Officina 5) e del concorso per la scuola d’infanzia a Galcetello a Prato (2008, con Andrea Stipa). È autore dei seguenti libri: Architettura a Zero Cubatura: il progetto degli spazi pubblici (con Aldo Aymonino, Skira, 2006, edizione italiano, inglese, francese). Valerio Paolo Mosco, 2003/2005: Scritti (Edilstampa, 2006). Architettura Contemporanea, Stati Uniti – West Coaste Archiettura Contemporanea, Stati Uniti – East Coast, (Motta Edizioni Sole 24 Ore, 2008-2009, edizione italiano e francese). Steven Holl (Motta Edizioni Sole 24 Ore, 2009, edizione italiano e inglese). Sessant’anni di ingegneria in Italia e all’estero (Edilstampa, 2010). Nuda Architettura (Skira, 2012, edizione italiana e inglese). Ensamble Studio (Edilstampa, 2012). Architettura italiana dal postmoderno ad oggi (Skira 2017). Perché ora l’architettura italiana e altri scritti (AREdizioni, 2017). Nel 2008 per l’Enciclopedia italiana Treccani ha redatto la voce “Città e Spazio Pubblico”.
Nuda Architettura
Tutto nasce da un equivoco. Percepiamo come nudo un edificio di cui vediamo la struttura, quindi le ossa, ma le ossa non corrispondono alla nudità, corrispondono, casomai, a ciò che sta sotto la pelle e la carne. Percepiamo come nudo anche un edificio spogliato dell’apparato decorativo. Nudo è uno scheletro e nuda è una parete senza decorazioni: entrambi nudi, e, seppure molto diversi, entrambi riferibili allo stesso aggettivo. Il nudo è mistero; la sua forza metaforica è talmente vasta che ogni volta rischia di evaporare nella sua stessa vastità. Scriveva Kenneth Clark nel suo imprescindibile libro sul tema: il nudo è incommensurabile; e lo è, in quanto sembrerebbe incarnare il massimo della fisicità, della materialità carnale, ma per una vera e propria eterogenesi dei fini, l’effetto della sua apparizione si pone oltre la fisica, nell’incommensurabile metafisica. Il nudo, inoltre, è ambiguo. Un giorno fu chiesto a Sant’Agostino di risolvere un dilemma: come mai uno stesso soggetto nudo potesse essere considerato, a seconda dei casi, casto o ludibrioso, come mai alla stessa iconografia potesse corrispondere un giudizio opposto. La risposta di Agostino è raffinata: quando percepiamo un nudo casto, esso in realtà non è nudo, bensì è ricoperto dell’invisibile manto della grazia. Ipotesi probabile, ma per nulla comprovabile, almeno da un punto di vista scientifico. Lo è se consideriamo la storia dell’arte, che almeno fino alla modernità si è nutrita di teologia. Lo dimostra la Venere Dormiente di Giorgione – la prima Venere sdraiata della storia dell’arte – sicuramente protetta dal manto invisibile della grazia. Non lo è sicuramente un’altra Venere sdraiata, l’Olympia di Édouard Manet che, più di trecento anni dopo Giorgione, ci sfida con il suo sguardo da navigata maîtresse. A metà, forse, tra l’ammantato di grazia e il ludibrio, è lo sfuggente erotismo della Venere di Urbino di Tiziano Vecellio, che solo il puritano Mark Twain poteva considerare sconcia.
Valerio Paolo Mosco