Vivere il diritto alla casa: parola agli abitanti
Nel numero 72 di IQD, curato dall’architetto Andrea Boschetti in collaborazione con Alessandro Maggioni e incentrato sul tema del Diritto alla Casa, Carla Ferrer, co-fondatrice dello studio ITER di Milano, urbanista presso l’Università di Harvard e architetto presso l’ETSAB di Barcellona, intervista alcuni residenti di progetti di edilizia cooperativa a Zurigo, Barcellona e Milano, che ci parlano delle potenzialità e delle sfide dell’abitare in interventi sociali innovativi pensati per promuovere il diritto alla casa e contribuire a migliorare il contesto e la città.
Le persone intervistate sono:
- Beda Troxler vive con la sua compagna e due bambini in un appartamento del complesso Zollhaus a Zurigo, un progetto di 5.000 mq completato nel 2021 su progetto dello studio Enzmann Fischer und Partner, promosso e sviluppato dalla Cooperativa Kalkbreite.
- Monika Saxer abita con altre quattro donne e due uomini di età compresa tra i 57 e 68 anni all’interno di un appartamento di 215 mq nell’intervento Zollhaus di Zurigo.
- Carles Baiges Camprubí vive con il compagno e una bambina di tre anni in un appartamento di 60m2 nella Cooperativa La Borda di Barcellona, progetto di 3.000 mq stato completato nel 2018, progettato da Lacol e promosso dalla Cooperativa La Borda.
- Margherita Banal abita con il compagno nell’intervento Cohabitat Lambrate di Milano, progetto di circa 13.000 mq, completato nel 2019, progettato da Atelier(s) Alfonso Femia e promosso dal Consorzio Cooperative Lavoratori e da Delta Ecopolis Soc. Coop.
1. Quali sono i valori principali connessi all’esperienza abitativa in un contesto cooperativo residenziale all’avanguardia?
Beda Troxler: Sembra una provocazione, ma per me una grande qualità dell’intervento è non avere un balcone privato, ma offrire delle grandi terrazze condivise in copertura e al primo piano, quest’ultima dove si incontrano spesso i bambini per giocare. Di questo ci siamo resi conto dopo una nostra assenza di qualche mese: al rientro, gli altri abitanti hanno organizzato su questa terrazza una piccola festa di benvenuto, che ci ha fatto sentire parte di una forte comunità che cresce con e per noi. Quasi nessuno ha una terrazza di 300 mq a disposizione al centro di Zurigo! Un’altra qualità fondamentale di Zollhaus è l’intergenerazionalità e l’eterogenità degli abitanti, che permette ai nostri figli di crescere in un contesto stimolante.
Monika Saxer: Organizziamo insieme gli spazi comuni del nostro appartamento e le terrazze. Avviamo sempre nuovi progetti, come la costruzione di un pergolato o l’ampliamento del giardino sulla terrazza vicino ai binari. Anche questo richiede un continuo coordinamento e scambio, ma rappresenta per noi un valore aggiunto rispetto a interventi più convenzionali. L’appropriazione di questi spazi genera responsabilità, ma ci ha anche permesso di imparare a conoscerci rapidamente. Ci sono sempre attività e conversazioni in gruppo. Nel nostro edificio il 40% della superficie è dedicata a spazi per il lavoro e la cultura. Questa combinazione di vita, lavoro e cultura ci fa sentire come in un piccolo villaggio. Il luogo s’irradia e attira continuamente persone provenienti dai dintorni e dalla città.
Carles Baiges Camprubí: Il principale valore è poter vivere in una comunità, sostenersi a vicenda. A questo si aggiunge l’abitare in un progetto politico in linea con i nostri ideali, ovverosia nella maniera più sostenibile possibile.
Margherita Banal: Per me abitare in un contesto di housing innovativo è principalmente vivere l’incontro con l’altro. In città sempre più spesso alienanti e con edifici esclusivi, mi piace che la casa sia invece un luogo in cui si possono intessere relazioni e si sperimentano accoglienza, condivisione e, perché no, una positiva risoluzione dei conflitti. Inoltre, questi interventi sono spesso realizzati con una particolare attenzione alla sostenibilità – come nel caso della classe energetica – una scelta che trovo significativa in quest’epoca di crisi climatica.
2. Quali sono le sfide principali che si presentano nell’abitare in tale contesto?
Beda Troxler: Abitare qui comporta intraprendere rischi. Il confine tra spazio pubblico e cooperativo non è chiaramente definito e questo può creare situazioni di conflitto. Ad esempio, ci sono adolescenti che si ritrovano nelle terrazze comunitarie; gli abitanti del complesso cercano di essere tolleranti, ma si sono presentati momenti difficili e situazioni d’insicurezza. Un altro aspetto alla base del progetto è la riduzione, in chiave di sostenibilità ambientale, dei materiali di costruzione, ma non solo. La sfida è di essere in grado di accettare questo come opportunità: attraverso la condivisione, raggiungere di più con meno.
Monika Saxer: L’autogestione degli spazi condivisi comporta sempre delle sfide in termini di processi decisionali. L’impegno non è lo stesso per tutte le persone e questo non è scontato. Il difficile è dividere i compiti senza che siano sempre le stesse persone a eseguirli. È una sfida che spesso genera lunghe discussioni. La nostra casa è anche molto esposta all’interno della città: è anche necessario definire il rapporto tra interno ed esterno, tra privato e pubblico. Tutti sono ospiti, ma devono anche rispettarci come residenti.
Carles Baiges Camprubí: Questo tipo di progetti richiede un alto livello di coinvolgimento e dedizione. È necessario, tra le altre cose, saper gestire i conflitti che possono sorgere tra le persone che vi abitano in modo che la convivenza e il progetto comune non vengano minati alla base. Inoltre, essendo questa un’esperienza innovativa per la Spagna, non ci sono ancora sufficienti aiuti pubblici per renderlo più semplice e accessibile. Sotto alcuni aspetti, questo ci fa trovare anche in una certa precarietà giuridica.
Margherita Banal: La sfida principale è vivere la relazione e lo scambio con gli altri anche quando questo risulta faticoso. Se si pensa a un intervento innovativo in astratto è facile immaginare vicini molto simili a noi, con cui tutto sarà sempre idilliaco. Nel quotidiano, invece, non siamo tutti uguali – per un verso per fortuna – e questo può portare a piccoli scontri, ad esempio nella gestione degli spazi comuni. Creare regolamenti insieme per vivere questi spazi può quindi essere un esercizio di crescita, utile anche per la vita fuori dallo spazio abitativo. La sfida, per me, è non ritrarsi di fronte a eventuali difficoltà e conflitti, ma cercare un dialogo e un compromesso con l’altro che porti ad avere gli spazi comuni davvero vissuti da tutti e non solo da alcuni o, peggio, da nessuno.
3. Quali aspetti sono da migliorare riguardo al disegno dell’intervento?
Beda Troxler: A mio avviso il progetto architettonico è fantastico, raggiunge veramente gli obiettivi e la visione iniziale. Potrei solo segnalare due dettagli: da una parte, le prestazioni acustiche all’interno degli appartamenti – tra una stanza e l’altra – non sono pensate per alloggi dove convivono unità familiari diverse, e si potrebbe migliorare per offrire maggiore intimità. Inoltre, si potrebbe studiare meglio la possibilità di ampliare o ridurre il proprio appartamento, ad esempio permettendo che una stanza intermedia possa cambiare di unità a secondo delle esigenze. Ci sono momenti in cui il nucleo di abitanti si allarga o restringe, e sarebbe interessante offrire questa flessibilità spaziale.
Monika Saxer: Siamo soddisfatti quasi di tutto. L’insoddisfazione riguarda più questioni organizzative. La combinazione di abitazioni e culture a volte ha portato a disturbi legati al rumore. È necessario che ci sia uno spazio sufficiente per i bambini per giocare e luoghi idonei per i giovani, che in questo momento manca. Quello che era stato progettato per i bambini sulla terrazza non è stato accettato: per questo motivo stiamo sviluppando insieme nuove strutture di gioco dedicate a loro. Dalla casa su misura in cui viviamo si possono trarre alcune conclusioni per idee future e per i prossimi progetti. Da una prospettiva esterna, per alcuni c’è troppo cemento, per altri c’è molto inquinamento acustico, perché i luoghi dove si vive e quelli dove si svolgono attività culturali in comune sono troppo vicini.
Carles Baiges Camprubí: Essendo un progetto curato dal mio studio, sono in generale molto soddisfatto del risultato, soprattutto tenendo conto del ristretto budget a disposizione. Nonostante ciò, siamo riusciti a realizzare un edificio molto efficiente dal punto di vista energetico e a costruire il progetto in legno. Abbiamo inoltre imparato da questa esperienza, integrando poi alcune osservazioni nei progetti successivi. Per esempio, gli spazi comuni sono molto legati a quelli domestici dei residenti, e non c’è modo di separarli per offrirli a persone esterne alla cooperativa senza interferire con l’intimità della comunità stessa.
Margherita Banal: Mi piacerebbe ci fossero sempre più spazi comuni e condivisi, pur mantenendo lo spazio privato del nucleo familiare, che per me rimane fondamentale. In Italia, nella mia esperienza, siamo agli inizi e per ora si parla di locali bici, sale per feste, biblioteche… già la lavanderia, presente sia nell’intervento dove io e mio marito siamo ora in affitto che dove andremo poi ad abitare come proprietari, per tanti italiani sembra una scelta bizzarra. So che in altri contesti all’estero è molto più comune avere spazi condivisi e penso sia bello poter avere una casa che ha alcuni luoghi fluidi, che non sono l’ambiente privato, ma nemmeno qualcosa di esterno all’abitazione. Pur non auspicando la creazione di uno spazio chiuso totalmente indipendente dalla città, quindi, mi piacerebbe avere più servizi di prossimità e luoghi che favoriscano lo scambio all’interno degli interventi.