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DANIELE LAURIA

Brazil: a Possible Narration IQD 57

BIOGRAFIA

Classe 1971, studia e si laurea in architettura a Firenze nel 1995 e, subito dopo, partecipa alla redazione di alcuni piani di recupero edilizio e urbano del capoluogo toscano. Nel 1999 inaugura lo Studio Lauria con il progetto per un padiglione espositivo in Piazza della Signoria, esposto alla Biennale di Architettura di Venezia del 2000. Nel 2009, a partire dal Brasile, avvia le collaborazioni professionali che oggi sono alla base di un network internazionale attivo in oltre venti città, che sviluppa progetti centrati sul tema della sostenibilità, in particolare applicata al recupero edilizio. Viaggia instancabilmente all’interno di questo network, pur mantenendo salde le sue radici in Italia, principalmente nelle città di Firenze e Milano, dove opera prevalentemente nell’ambito del restauro per committenti privati e pubblici, tra i quali le Gallerie degli Uffizi. Da sempre attivo in ambito culturale, nel corso degli anni ha svolto ruoli di direzione artistica per importanti eventi internazionali e partecipato attivamente alla programmazione del Centro Culturale Cidad3 di San Paolo in Brasile. Scrive periodicamente per riviste di architettura con approfondimenti sulle trasformazioni in atto nelle grandi metropoli contemporanee. Nel corso degli anni ha avuto l’onore di avviare dialoghi e collaborare attivamente con architetti del calibro di Renzo Piano, Leonardo Benevolo, Yona Friedman, German Samper, Kengo Kuma e Balkrishna Doshi.

Brasile

Inizio a impostare una tra le tante narrazioni possibili sull’architettura moderna e contemporanea del Brasile seduto a un bar dell’Avenida Paulista, dove mi reco ogni due o tre mesi da oltre dieci anni ad ammirare quella straordinaria macchina urbana disegnata da Lina Bo Bardi che è il MASP, il Museo d’Arte di San Paolo. Una narrazione basata su una riflessione personale circa la relazione tra architetti brasiliani e stranieri, che prescinderà dalla celebrazione del mito di Brasilia e dei suoi artefici, Oscar Niemeyer e Lucio Costa, e che, per ragioni di spazio, non potrà soffermarsi su tanti autori meritevoli come Roberto Burle Marx, Rino Levi, Isay Weinfeld o il collettivo di Brasil Arquitetura. Un racconto che parte dal 1947, anno in cui una rivista francese celebrò in un reportage una giovane generazione di architetti brasiliani che cercava di dare un volto internazionale al boom economico e allo sviluppo urbanistico del loro Paese, e che, in qualche modo, agevolò l’arrivo, per tutti gli anni Cinquanta, di giovani progettisti europei, tra i quali Franz Heep, uno dei massimi interpreti del fenomeno di verticalizzazione della metropoli paulista. Partendo da qui e operando una dolorosa selezione, affronterò le figure di João Batista Vilanova Artigas, cui si deve la nascita del movimento della cosiddetta Scuola Paulista o brutalista, di Pedro Paulo de Melo Saraiva e dell’italiana Lina Bo Bardi per arrivare al presente, con il primo intervento in Brasile di Kengo Kuma, la Japan House, e il lavoro del duo di Andrade Morettin Arquitetos e dello studio MMBB, a cui è strettamente legato Paulo Mendes da Rocha, Premio Pritzker nel 2006 e figura chiave nella ricucitura tra i due tempi della nostra storia. Perché tra questi due momenti, e per effetto dell’imperante nazionalismo dettato dal regime militare in carica dal 1964 al 1985, l’architettura brasiliana si è progressivamente chiusa al resto del mondo e si è dovuto attendere il nuovo millennio per vedere tornare all’opera qualche architetto straniero.

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