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La disciplina dell’esistente dopo Sala Beckett / Flores y Prats per IQD

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Sala Beckett è la combinazione di due storie con origini molto diverse che s’incontrano per dar vita a un progetto nuovo, a cui ciascuna contribuisce al suo meglio. Da un lato, la vecchia Cooperativa Pau i Justícia (Pace e Giustizia) nel quartiere Poblenou, un edificio abbandonato che, a causa del suo avanzato stato di rovina e del suo essere ancora molto presente nella memoria degli abitanti della zona, possedeva un enorme carica poetica. Dall’altro lato la Sala Beckett, un centro di drammaturgia con una lunga storia in città e una grande considerazione e sostegno da parte del mondo del teatro, che però doveva cambiare sede e trasferirsi in questo edificio in un’altra parte della città. Il concorso per recuperare l’edificio e adattarlo alla nuova Sala Beckett ha portato il nostro studio all’interno di questa storia, in cui abbiamo potuto lavorare per realizzare quello che crediamo debba essere un progetto di riuso adattivo.

COOPERATIVA

L’aver osservato per mesi, in modo intenso e diretto, lo stato in cui si trovava la Cooperativa ha avuto una grande influenza sulla nostra risposta a un programma che, al principio, non aveva nulla a che fare con il precedente uso dell’edificio, ma che al tempo stesso aveva così tante affinità che lo facevano adattare perfettamente, come di seconda mano, alla struttura esistente. La vecchia Cooperativa era un edificio con grandi sale, alternate a spazi piccolissimi, spazi compatti che, all’improvviso, all’apertura di una porticina, ci portavano via da quel posto per trasportarci in un altro circuito nascosto fatto di stanze che non avremmo mai potuto immaginare potessero esistere. Il luogo ideale dove fare teatro.

Non è stata però solo la presenza fisica della Cooperativa ad averci impressionato e ad aver influenzato i nostri disegni. Non solo il visibile, ma anche l’invisibile, quello che viveva tra quelle rovine, ci faceva disegnare cercando di catturare ciò che ci stava di fronte per conservarlo all’interno del nuovo progetto. Tutte le attività sociali e culturali che avevano avuto luogo all’interno dell’edificio fino a poco tempo prima: feste, celebrazioni, balli e rappresentazioni, tutti i fantasmi delle persone che vi avevano partecipato e avevano vissuto questi spazi, erano ancora presenti nelle grandi sale del vecchio edificio.

Il concorso sollevò una prima domanda che, per noi, fu la chiave di tutto lo sviluppo successivo del progetto: anche se la Cooperativa era stata parte così attiva nella storia di questo quartiere, in termini patrimoniali l’edificio non era protetto e questo significava che si sarebbe potuto demolire per costruirne uno nuovo al suo posto. Pertanto, al momento del concorso, la decisione se conservarlo o meno fu una decisione molto importante, specialmente perché, partendo dal suo avanzato stato di degrado doveva essere riconvertito in un centro di drammaturgia dotato delle condizioni tecnico-acustiche, climatiche e strutturali adatte a un teatro contemporaneo. Quindi, decidere se contare su questo edificio per procedere con il progetto, nello stato fisico così fragile in cui versava, fu una decisione chiave, fu di fatto l’inizio del progetto.

Quello che si presentava di fronte ai nostri occhi era, però, emotivamente troppo forte per non essere usato come base per il nuovo teatro. Così abbiamo pensato che non potevamo demolirlo, ma che avremmo dovuto, al contrario, recuperarlo e accettare il degrado come punto di partenza. Volevamo recuperare tutto, il patrimonio fisico, ma anche il patrimonio emotivo. Tutte le storie che ancora aleggiavano in quegli spazi, evocando le memorie delle persone che avevano trascorso lì il loro tempo, dovevano far parte della futura Sala Beckett e, pertanto, i nostri sforzi si sono concentrati sulla conservazione di questi ricordi all’interno dell’edificio, costituendo la base del nuovo progetto.

SALA BECKETT

Prima di spostarsi nel quartiere Poblenou, la Sala Beckett è stata per anni operativa in uno spazio molto più piccolo nel quartiere di Gràcia di Barcellona, facendo un enorme lavoro teatrale fino a diventare un importante riferimento per i drammaturghi nazionali e internazionali. Pertanto, spostare la Sala Beckett dal quartiere di Gràcia a quello di Poblenou è stato per noi un altro dei grandi temi progettuali. Come farli uscire da dove erano per portarli in un posto nuovo senza causare interruzioni? Come far loro cambiare edificio e persino quartiere senza perdere durante questo trasferimento la loro aura, la loro magia? Abbiamo pensato che ciò che ci avrebbe aiutato sarebbe stato mantenere quell’atmosfera di edificio abitato, usato, occupato da tempo, e per ottenerlo avremmo dovuto conservare i fantasmi della vecchia Cooperativa all’interno dell’edificio, augurandoci che, molto amabilmente, questi avessero voluto dare il benvenuto ai nuovi occupanti e alle loro storie.

INVENTARIO

Ma i fantasmi della Cooperativa erano ovunque: nella finitura incompleta delle pareti, nei mobili sparsi ovunque, nelle piastrelle delle pareti della vecchia cucina, nelle piastrelle del pavimento dai disegni diversi in ogni stanza, nelle porte e nelle finestre… E così, all’inizio, in modo più intuitivo che ragionato, abbiamo iniziato a disegnare tutto ciò che vedevamo come un espediente per conoscerlo e organizzarlo, così che potesse diventare parte del progetto futuro: abbiamo raccolto tutti gli oggetti sopravvissuti alla distruzione del tempo e li abbiamo disegnati in modo intensivo, conoscendoli a fondo uno per uno, scoprendo che in questo processo ogni elemento aveva un proprio carattere personale, diverso dagli altri – le sue misure, la sua geometria, la sua costruzione… – mettendo in evidenza la manualità e l’artigianalità della loro fabbricazione. Dietro la decisione di fare un inventario c’era anche la preoccupazione di salvaguardare dei materiali tipici del patrimonio della città di Barcellona, che ancora oggi, quando si ristruttura un edificio, vengono portati in strada e ammucchiati come rifiuti in grandi contenitori di fronte ai cantieri. L’inventario avrebbe dovuto rappresentare un mezzo per far comprendere al costruttore l’importanza che tutti questi elementi hanno avuto per il progetto.

ROVINE

Prima del nostro intervento anche il tempo aveva avuto violente ripercussioni sulla struttura fisica della costruzione, e anche questo ha influenzato il nostro modo di progettare. Quando siamo entrati, l’edificio era aperto alle intemperie, l’esterno era all’interno, l’aria e la pioggia erano là dove non ci saremmo aspettati di trovarle. Era possibile vedere il cielo e il sole penetrare all’interno, una sensazione di vulnerabilità pervadeva il tutto. Eppure quei grandi vuoti che abbiamo trovato all’interno della vecchia struttura generavano nuove e sorprendenti condizioni di scala, permettendoci viste fino ad allora impossibili, attraverso un susseguirsi di piani dalla terra al cielo; tutte qualità spaziali così intriganti che ci hanno costretto a restare e a lavorare partendo da loro, senza separarci da quel luogo. Allo stesso tempo è stato proprio il carattere frammentario in cui sono stati ritrovati alcuni spazi ed elementi costruttivi che ci ha permesso di lavorare in libertà con qualcosa che sembrava essere in una fase di costruzione, un punto di partenza per i nostri disegni. Era un’opportunità che la Cooperativa ci offriva, tanto più perché l’edificio non era protetto.

Quello che ci interessava maggiormente in quel momento era sfruttare al meglio ciò che avevamo ereditato, cercando di non separare le sue qualità: la Cooperativa era un luogo dalle dimensioni generose ed eravamo interessati a mantenere quei grandi spazi, difficili da trovare in altre parti della città di Barcellona. Così abbiamo usato la forza di quel luogo come un’inerzia, che ci avrebbe permesso di non partire da zero o dalle nostre idee, ma di intervenire sulle rovine di fronte a noi in modo che fossero loro a motivarci e a farci proseguire. Il suo carico di storia, il peso materiale, la realtà fisica ed emotiva contenuta erano ciò che opponeva resistenza agli attacchi del progetto e ci faceva disegnare con esso e contro di esso fino a raggiungere un equilibrio, in cui ciò che veniva aggiunto non era nuovo, ma una modifica di quello che avevamo di fronte. Disegnarlo come se fosse nostro, disegnarci sopra, renderlo parte del progetto e poi continuare a trasformarlo dall’interno, dalla sua logica costruttiva, geometrica, programmatica, emozionale. Ora è difficile distinguere cosa è nuovo e cosa c’era prima; è una nuova generazione di un edificio precedente.

Sfruttando le qualità dell’edificio precario, l’abbiamo lasciato aperto tanto quanto, se non addirittura di più, di come lo abbiamo trovato. Tutto gravita attorno a un enorme spazio vuoto, pieno di luce e di nuovi colori, che è stato inserito all’interno della vecchia Cooperativa per accogliere la hall d’ingresso; tutto prende vita da quel centro, trasformando ciò che avevamo ereditato in un luogo con più energia di quello precedente. Gli studenti entrano in quella grande sala la mattina e vengono accolti dalla luce che arriva con forza dall’alto. Tutto, spazio e studenti allo stesso tempo, ruota intorno a quel grande vuoto centrale, che ha le dimensioni di altri tempi, di quando l’edificio era una rovina. E alla fine è come avere ancora una volta lì la rovina: un luogo all’aperto, al confine tra interno ed esterno, dove poter vedere attraverso spazi che collegano linee e profili di pavimenti e pareti che in origine appartenevano a luoghi diversi. La parte migliore di ciò che la Cooperativa aveva e conservava per noi è rimasta intrappolata nella nuova Sala Beckett.

Ricardo Flores & Eva Prats per IQD

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