Biennale di Architettura di Venezia 2023: The Laboratory of the Future
Sarà aperta al pubblico da sabato 20 maggio adomenica 26 novembre 2023, ai Giardini, all’Arsenale e a Forte Marghera la 18. Mostra Internazionale di Architettura dal titolo The Laboratory of the Future a cura di Lesley Lokko, organizzata dalla Biennale di Venezia. La Pre-apertura avrà luogo nei giorni 18 e 19 maggio, la Cerimonia di premiazione e inaugurazione si svolgerà sabato 20 maggio 2023.
La Biennale di Venezia è impegnata in modo concreto nel cruciale obiettivo del contrasto al cambiamento climatico, promuovendo un modello più sostenibile per la progettazione, l’allestimento e lo svolgimento di tutte le sue attività. Nel 2022 ha ottenuto la certificazione di neutralità carbonica per tutte proprie manifestazioni svolte durante l’anno, grazie a una accurata raccolta dati sulla causa delle emissioni di CO2 generate dalle manifestazioni stesse, e all’adozione di misure conseguenti. L’intero processo di raggiungimento della neutralità carbonica, realizzatosi ai sensi dello standard internazionale PAS2060, è stato certificato dal RINA. Per tutte le manifestazioni, la componente più rilevante dell’impronta carbonica complessiva è collegata alla mobilità del pubblico partecipante. In questo senso, La Biennale sarà impegnata anche nel 2023 in un’attività di sensibilizzazione e comunicazione verso il pubblico, a partire dalla 18. Mostra Internazionale di Architettura, che sarà la prima grande Mostra di questa disciplina a sperimentare sul campo un percorso per il raggiungimento della neutralità carbonica, riflettendo inoltre essa stessa sui temi di decolonizzazione e decarbonizzazione.
LA MOSTRA INTERNAZIONALE COME AGENTE DI CAMBIAMENTO
“Che cosa significa essere “un agente di cambiamento”? (…) Negli ultimi nove mesi, in centinaia di conversazioni, messaggi di testo, videochiamate e riunioni – ha ricordato Lesley Lokko – è emersa più volte la domanda se esposizioni di questa portata, sia in termini di emissioni di carbonio sia di costi, possano essere giustificate. A maggio dell’anno scorso (in occasione dell’annuncio del titolo) ho parlato più volte della Mostra come di “una storia”, una narrazione che si evolve nello spazio. Oggi ho una visione diversa. Una mostra di architettura è allo stesso tempo un momento e un processo. Prende in prestito struttura e formato dalle mostre d’arte, ma se ne distingue per aspetti critici che spesso passano inosservati. Oltre al desiderio di raccontare una storia, anche le questioni legate alla produzione, alle risorse e alla rappresentazione sono centrali nel modo in cui una mostra di architettura viene al mondo, eppure vengono riconosciute e discusse di rado. È stato chiaro fin dal principio che The Laboratory of the Future avrebbe adottato come suo gesto essenziale il concetto di “cambiamento”.
“(…) Per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo. Che cosa vogliamo dire? In che modo ciò che diremo cambierà qualcosa? E, aspetto forse più importante di tutti, quello che diremo noi come influenzerà e coinvolgerà ciò che dicono gli “altri”, rendendo la Mostra non tanto una storia unica, ma un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio di idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo? Spesso si definisce la cultura come il complesso delle storie che raccontiamo a noi stessi, su noi stessi. Sebbene sia vero, ciò che sfugge a questa affermazione è la consapevolezza di chi rappresenti il “noi” in questione. Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti.”
LA STRUTTURA DELLA MOSTRA
“The Laboratory of the Future è una mostra divisa in sei parti. Comprende 89 Partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. L’equilibrio di genere è paritario e l’età media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nella sezione Progetti Speciali della Curatrice, in cui il più giovane ha 24 anni. Il 46% dei Partecipanti considera la formazione come una vera e propria attività professionale e, per la prima volta in assoluto, quasi la metà degli architetti proviene da studi a conduzione individuale o composti da un massimo di cinque persone. In tutte le sezioni della Mostra, oltre il 70% delle opere esposte è stato progettato da studi gestiti da un singolo o da un team molto ristretto.
Al cuore di ogni progetto c’è lo strumento principe e decisivo: l’immaginazione. È impossibile costruire un mondo migliore se prima non lo si immagina. The Laboratory of the Future inizia nel Padiglione Centrale ai Giardini, dove sono stati riuniti 16 studi che rappresentano un distillato di Force Majeure (Forza Maggiore) della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose) – presente anche a Forte Marghera, a Mestre – affiancata a quella dei Progetti Speciali della Curatrice, che per la prima volta è una categoria vasta quanto le altre. In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani “practitioner” africani e diasporici, i Guests from the Future (Ospiti dal Futuro), il cui lavoro si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea delle pratiche e delle modalità future di vedere e di stare al mondo. (…) Abbiamo espressamente scelto di qualificare i partecipanti come “practitioner” – ha chiarito la Curatrice – e non come “architetti”, “urbanisti”, “designer”, “architetti del paesaggio”, “ingegneri” o “accademici”, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine “architetto”.
PARTECIPAZIONI NAZIONALI
63 Partecipazioni Nazionali organizzeranno le proprie mostre nei Padiglioni ai Giardini (27), all’Arsenale (22) e nel centro storico di Venezia (14). Il Niger partecipa per la prima volta alla Biennale Architettura; Panama si presenta per la prima volta da solo, nel passato partecipava come I.I.L.A. (Organizzazione Internazionale Italo-latino americana).
Torna la partecipazione della Santa Sede alla Biennale Architettura, con un proprio Padiglione sull’Isola di San Giorgio Maggiore (aveva partecipato per la prima volta alla Biennale Architettura nel 2018). Il Padiglione Italia alle Tese delle Vergini in Arsenale, sostenuto e promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, è curato dal collettivo Fosbury Architecture, formato da Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino, Claudia Mainardi. Il titolo della mostra è SPAZIALE: Ognuno appartiene a tutti gli altri.
CARNIVAL
Il programma di The Laboratory of the Future è arricchito dal Carnival, un ciclo di incontri, conferenze, tavole rotonde, film e performance durante i sei mesi di Mostra, volti a esplorare i temi della Biennale Architettura 2023.
“Concepito come uno spazio di liberazione ma anche di spettacolo e intrattenimento, Carnival offre un luogo in cui vengono scambiate, ascoltate, analizzate e ricordate parole, prospettive e opinioni – ha spiegato Lesley Lokko. Politici, policymakers, poeti, registi, documentaristi, scrittori, attivisti, organizzatori di comunità e intellettuali pubblici condivideranno il palco con architetti, accademici e studenti. Questo programma vuole essere una forma di pratica dell’architettura che tenta di colmare il divario tra gli architetti e il pubblico.”