ifdesign vince il premio Architetto italiano 2021 con il progetto Laboratori Artigianali e Centro Socio Educativo a Erba
Riunitasi lo scorso 5 novembre a Venzia e presieduta dall’architetto Jette Cathrin Hopp, la giuria ha conferito il premio Architetto italiano 2021 a Franco Tagliabue Volontè e Ida Origgi. Fondatori nel 2002 dello studio ifdesign, hanno ricevuto questo importante riconoscimento per i Laboratori Artigianali e il Centro Socio Educativo, ultimati a Erba nel 2019, intervento che ha anche ottenuto la menzione d’onore nella categoria “Opere di nuova costruzione”.
Per la giuria, il progetto “si distingue per un programma tanto delicato quanto complesso. Attività lavorative ed altre finalizzate all’apprendimento ed alla autonomia degli ospiti trovano una articolazione e organizzazione dello spazio ottimali. La partecipazione diretta al progetto da parte degli ospiti del centro – tutti con problemi cognitivi – contribuisce a conferire al tema ulteriore valore sociale”. Pubblicato sul numero 64 di IQD, nella sezione curata dallo studio di architettura TAMassociati e intitolata Intelligenze Condivise, il progetto di ifdesign, diventato un patrimonio per la collettività, dimostra che la funzione dell’architettura è interpretare la realtà e dare risposta ai bisogni.
Gli edifici dei Laboratori Artigianali e del Centro Socio-educativo di Erba s’inseriscono all’interno di un complesso dedicato alla cura delle persone diversamente abili, a completare un programma che comprende anche una mensa ristorante, un salone polifunzionale e alcuni spazi aperti. L’obiettivo dell’associazione Onlus è comunicare che la disabilità non deve essere vissuta come una minorazione, ma come un punto di vista differente.
Sull’idea che una condizione di difficoltà possa divenire un patrimonio per la collettività si sviluppa anche l’edificio, che da anni è in grado di offrire spazi alla cittadinanza; l’utilizzo di materiali poveri – scelta obbligata dalle condizioni economiche – diviene un’opzione di linguaggio radicale e più espressivo.
Il Centro Socio-educativo ospita una sequenza di spazi con tre piccoli uffici, una lavanderia, un magazzino e il minialloggio, con poltrone letto, televisione e blocco cucina, dove i ragazzi del centro praticano alcune attività collettive diurne orientate all’apprendimento e all’autonomia. Questo spazio può accomodare qualche ospite occasionale per la notte.
l Laboratorio è uno spazio lavorativo di assemblaggio in cui lavorano circa 20-25 persone, prevalentemente disagiate, cioè con disabilità o altri problemi – per esempio persone affidate ai servizi sociali – assemblando componenti per conto terzi. Gli shed portano luce naturale negli spazi, che sono completamente liberi all’interno, fatta eccezione per il piccolo box ufficio e per il blocco degli spogliatoi.
Considerata la totale assenza di fondi pubblici sia per la gestione sia per la costruzione, l’edificio è improntato alla massima economia dei materiali. La facciata in vetroresina verde ha un costo molto contenuto, ma è in grado di conferire un forte carattere espressivo all’edificio. Questo materiale protegge e lascia trasparire allo stesso tempo circa 50 lampade lineari LED che illuminano la piazzetta antecedente l’ingresso pedonale.
L’idea è che le luci, i tubi metallici navali dove passano i cavi elettrici di alimentazione e le scatole tonde di derivazione rappresentino una sorta di sistema nervoso dell’edificio. Per questo motivo è sembrato particolarmente interessante che fossero i ragazzi del centro a disegnarne il tracciato e la disposizione, in maniera più libera e secondo la loro personale interpretazione. Durante una giornata di laboratorio ognuno ha prodotto un modello bidimensionale della facciata utilizzando fili di lana, fiammiferi e puntine da disegno.
Hanno partecipato persone con sindrome di down, post-traumatici con problemi di comprensione e comunicative, oppure non vedenti. In qualche maniera il tracciato riflette il tipo di problema mentale, talvolta di rigore ossessivo, oppure particolarmente elaborato e allegramente confuso. La scelta radicale di lasciare a vista le linee elettriche di alimentazione ha suggerito l’utilizzo dei tubi metallici di alimentazione che percorrono tragitti non logici e talvolta molto articolati. Si è optato per rispettare il disegno originale anche dove il tracciato risultava particolarmente illogico, ma straordinariamente creativo.
Le panchine, così come la pavimentazione della piazza, sono realizzate in terra solida, composto di inerti e legante naturale completamente riciclabile. Le scelte orientate alla massima economia vengono ribadite nei prospetti posteriori, privi di intonaco e finiti con muratura portante in blocchi Poroton a vista smaltati, che rivelano l’edificio nella radicale nudità, occasione per elaborare e sperimentare texture e dettagli suggeriti dagli elementi della costruzione, che altrimenti sarebbero rimasti nascosti.