Costruire per Un Mondo Diversamente Abile / Magda Mostafa
L’architettura è idealmente la fonte di, o il canovaccio per, tutti gli stimoli sensoriali creati dall’uomo ed è quindi in grado di agevolare o ostacolare l’accesso, l’inclusione e una gradevole fruizione degli spazi alle persone con disturbi dello spettro autistico. Non può essere, e non è mai, neutrale. Noi dobbiamo, come professionisti, assumerci la responsabilità di questo ruolo, comprenderlo e sviluppare strumenti atti a mitigare le barriere che l’architettura sta ancora creando per troppe persone.
Quella che appare come una nobile aspirazione di giustizia e inclusione sociale ha in realtà molte ramificazioni nella vita reale. Gli individui autistici o con altre neurodiversità sono meno sani dei loro coetanei in parte proprio a causa delle condizioni fisiche di molte strutture sanitarie; il tasso degli studenti autistici che, nonostante un talento accademico, abbandonano più spesso e non riescono a completare la loro istruzione è molto più alto dei loro compagni; e la disoccupazione nella comunità autistica è molto superiore alla media, nonostante le capacità e il talento di molti potenziali dipendenti autistici. L’ambiente costruito, causa di queste tristi statistiche, può fare molto per mitigarle e, come minimo, può creare una base perché questi talenti possano potenzialmente trovare delle condizioni favorevoli al loro sviluppo.
Si stima che l’1,5% della popolazione mondiale rientri nell’ampio spettro dell’autismo. Per troppo tempo questo spettro, nonostante le grandi diversità e le sfumature, è stato visto come una condizione monolitica, patologizzata, da curare o trattare, anziché essere meglio compresa o addirittura celebrata come un’identità e un modello percettivo alternativo, ma altrettanto valido, del mondo che ci circonda. Ultimamente questa posizione si è spostata verso una posizione di identità più basata sui punti di forza, e poiché la coorte più numerosa di individui diagnosticati quando stava aumentando la consapevolezza, nei primi anni 2000, sta ora raggiungendo l’età adulta, l’auto-advocacy – l’autodifesa delle persone con neurodiversità – è diventata una voce importante e sempre più ascoltata nella comunità. Ma anche l’architettura deve ascoltare. Nonostante questa voce sia in crescita, il ruolo dell’ambiente costruito come partner cruciale per il sostentamento di questa parte della popolazione continua a rimanere sostanzialmente invariato.
L’onere di affrontare, adattare e gestire l’ubiquità spesso opprimente e oltremodo stimolante del mondo sensoriale
in cui viviamo rimane spesso a carico del solo individuo autistico, mentre il mondo dell’architettura, che lo crea, è in gran parte assolto da ogni responsabilità. Tutto questo deve cambiare. Con il crescere della consapevolezza, cresce un senso di responsabilità, ma in molti casi agli attori del mondo della progettazione mancano gli strumenti per creare questo nuovo mondo più accessibile, dagli stimoli sensoriali più attenuati, in cui la percezione autistica fa parte del modello considerato in fase di progettazione. Tra questi strumenti, uno dei primi basati sulla ricerca, è l’Autism ASPECTSS Design Index, che abbiamo sviluppato attraverso un decennio di osservazioni e ricerche progettuali, e pubblicato nel 2014. Composta da 7 condizioni architettoniche, questa guida non prescrive, ma fornisce un quadro generale, attraverso il quale possiamo concepire e sviluppare i nostri spazi architettonici per essere più inclusivi e guidati dalla prospettiva autistica e dall’esperienza vissuta. Attualmente contempla borse di studio, ricerche e sperimentazioni nei 5 continenti.
LE SETTE CONDIZIONI SONO:
• Acustica – che richiede la comprensione dello spazio al di là della sua visio-centricità, e si riferisce a qualcosa che ascoltiamo e sperimentiamo con tutti i nostri sensi – e progettare di conseguenza;
• Ordinamento Spaziale – che richiede l’organizzazione logica e temporale dello spazio per allinearsi con le dinamiche
vissute dello spazio;
• Spazi di fuga – è prevista la creazione di un’infrastruttura spaziale per consentire, all’occorrenza, un rifugio sensoriale;
• Compartimentazione – che richiede l’organizzazione degli spazi in discrete zone sensoriali;
• Transizione – che fornisce una sistemazione spaziale per la regolazione sensoriale, in particolare quando si passa da spazi a stimolazione elevata a spazi a bassa stimolazione;
• Zonazione sensoriale – che promuove la suddivisione dello spazio in zone ad alta stimolazione e a bassa stimolazione;
• Sicurezza – sia statica sia operativa, nella scelta dei materiali, nella progettazione dei sistemi di costruzione e nello sviluppo di strategie, come ad esempio quella di accesso e di uscita.
Recentemente illustrato dalla Guida alla Progettazione Autismfriendly, questo quadro aiuta a migliorare gli spazi che abbracciano al loro interno la prospettiva autistica, anche se praticati dalla più numerosa popolazione neurotipica. Sono iniziate a emergere prove aneddotiche a sostegno della tesi secondo cui questi progetti non solo non presentano barriere per la popolazione neurotipica, ma possono effettivamente avvantaggiare altri grandi gruppi: coloro che lottano con disturbi di salute mentale come l’ansia, quelli con determinati profili di apprendimento alternativi come il Disturbo da Deficit di Attenzione e il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, in particolare negli spazi di apprendimento, così come la popolazione anziana, che può lottare con problemi sensoriali simili e disturbi cognitivi che si intersecano con demenza e Alzheimer. Un punto di partenza per il cambiamento di paradigma necessario nel pensiero architettonico è la stessa prospettiva autistica. Dobbiamo espandere la nostra definizione del modello utente per includere questo punto di vista diverso, ma ugualmente valido, imparare da esso, accoglierlo e consentirgli di plasmare i nostri spazi futuri. Dobbiamo dare spazio alla voce autistica nel dialogo architettonico e ascoltarla, non solo con empatia o simpatia, ma con la responsabilità di includere, imparare, accogliere e celebrare.
C’è potere in questa voce che risuona, il cui beneficio va ben oltre lo spettro autistico. La prospettiva autistica può insegnarci davvero tanto: che il mondo può ancora essere compreso dall’immagine ridotta di un’ombra o di una
sagoma riflessa; che l’onnipresente mercificazione visiva dei nostri spazi può essere invalidante per alcuni, creando una barriera per uno studente che cerca di imparare, un pedone che percorre il tragitto da casa al lavoro o un impiegato che cerca di lavorare; che il mondo che ci circonda presenta fin troppi stimoli sensoriali non necessari e tuttavia, le stesse menti che sopraffà possono anche fornirci la visione per una loro migliore comprensione e visualizzazione. Credo che nessuno abbia il diritto di esistere più confortevolmente e in sicurezza nello spazio di chiunque altro, ed è nostra responsabilità come architetti creare il paesaggio costruito che offra questo comfort e questa sicurezza a tutti – l’intero spettro della condizione umana.
Magda Mostafa per IQD